Non c’è paradiso

Ma perché scrivere, perché tentare la poesia, questa battaglia persa in partenza tra le parole e le cose?
Riporta André Frenaud che Dylan Thomas confessò una volta: «È la musica del paradiso, che vorrei far sentire» e a quel miracolo trasognato e insperabile, allo strazio di Dylan, dedicò i versi di
Il n’y a pas de paradis, che attraversando in verticale i decenni mi arrivano oggi tra le mani.
Li traduco aggiungendo alla loro sconfitta la mia, appeso anch’io come loro a una battaglia data e inevitabile, al diaframma inscalfibile di luce e d’ombra tra parole e realtà.


Non posso intendere la musica dell’essere,
non ho potere per immaginarla:
il mio amore si alimenta a un non-amore.
Non avanzo che attirato dal rifiuto.
Mi porta nelle sue grandi braccia di nulla,
il suo silenzio mi separa dalla vita.

Essere che sereno brucia e che io assedio:
quando infine l’ho quasi raggiunto negli occhi,
la sua fiamma ha già scavato i miei, mi ha fatto cenere.
Che importa poi, il bisbiglio del poema:
è niente, quello, non il paradiso.

(© Daniele Gigli, 2022 per la traduzione – Condivisione autorizzata a fini non commerciali citando la fonte)