Ma voi, quando il mondo vi spaventa, a chi lo dite? Lo dite?
E chi è che vi dice abbracciandovi «hush now, baby / baby, don’t you cry?».
Li diciamo, il dolore e la pena del vivere, o ne facciamo teoria e ci nascondiamo «dietro l’Enciclopedia Britannica»?
Una traduzione di Animula (1929) di T.S. Eliot.
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«Esce di mano a Dio l’anima semplice»
a un mondo piatto di rumore e luci intermittenti,
a luce e tenebra, secchezza o umido, gelo e calore.
Muovendo tra gambe di tavoli e sedie
si alza e ricade, s’aggrappa a giochi e baci,
avanza sfrontata, si allarma improvvisa,
ripara in un angolo tra ginocchio e braccio,
avida di rassicurazioni, godendo
il fragrante brillio dell’albero di Natale,
godendo del vento, del sole, del mare.
Studia il disegno dei raggi sopra il pavimento
e dei cervi in fuga su un vassoio d’argento;
confonde realtà e fantasia,
contenta di carte da gioco, di re e di regine,
di quello che dicono i servi e fanno le fate.
Il peso grave dell’anima che cresce
basisce e offende giorno dopo giorno;
settimana dopo settimana offende e basisce
negli imperativi di «essere e apparire»,
nel puoi e nel non puoi, nel desiderio e nel trattenimento.
La pena del vivere e la droga dei sogni
accucciano l’animetta sul bovindo,
dietro l’Enciclopedia Britannica.
Esce di mano al tempo l’anima semplice
irresoluta ed egoista, deforme, zoppa,
incapace di avanzare o ritrarsi:
temendo la calda realtà, il bene offerto,
negando l’importunità del sangue,
ombra delle sue ombre, spettro nella sua tenebra,
disordine di carte in una stanza polverosa;
viva per la prima volta nel silenzio dopo il viatico.
Prega per Guiterriez, avido di successo e di potere,
per Boudin saltato in pezzi,
per chi ha tirato su grandi fortune
e per chi ha seguito la sua strada.
Prega per Floret, sbranato dai levrieri in mezzo agli alberi di tasso,
prega per noi adesso e nell’ora della nostra nascita.
(© Daniele Gigli, 2007-2023 per la traduzione – Condivisione autorizzata a fini non commerciali citando la fonte)