Poesia? No, non le mie cose, non in questo secolo di decomposizione che del poiein ha scordato ogni eco. Scrittura in versi, piuttosto.
Qui sotto qualche stralcio da Fuoco unanime (2015, 2016) e dal più recente Di odore e di generazione (2019).
******
Da Fuoco unanime
***
Cade, s’inabissa l’occidente
Cade, s’inabissa l’occidente,
si dissolve, muore sotto i cieli alti di pietra-luce in ore cave.
Sull’acqua-marmo allucinano gli occhi,
senza punto si moltiplica lo sguardo,
cede l’orizzonte senza tempo.
Così si muore:
assassinati in preghiera o nei palazzi a vetro, dagli amici.
Figliano giudizi, rivoluzioni inerti,
nel fuoco bruciano bandiere, cadono le croci.
***
Transpadana
Le rocce, il fiume a schianto sulle rive, il temporale squarcia l’aria ferma.
Restiamo qui, chi in questo luogo teso, chi lontano,
a specchio in questo cruore selva,
brani di memoria avversi al vuoto.
Tu dove sei, mi chiedo, dove in questa luce incerta:
ancora qui, ancora nel mio cuore o fuori, inanimata, persa?
Di questa luce prega, prega che ne resti:
sui campi stesi a volo di rotaia, i bracci del torrente, il greto,
il margine di riva e di risaia.
***
Fuoco unanime, 2
A mezzogiorno
nell’apice della rivoluzione,
quando per troppo ardore oscura il fuoco bianco.
O al volgere dell’anno,
a mezzanotte,
quando la rara luce agghiaccia e flette sulla neve, dà chiarore,
strappa dal muro d’ombra i margini dei monti.
Vuoto delle parole che si svuotano, s’incancreniscono, edificano in sé la propria tomba.
Fuori dal tempo e dalle cose piegano l’idea,
l’asservono, assise al desco degli inerti, dei vomitati dalla bocca.
***
Fuoco unanime, 3
«Kyrie» brulica la torma delle voci
calcate l’una all’altra, in movimento.
«Kyrie» invoca il coro univoco e discorde,
straziato a un fuoco mai attizzato,
senza remissione.
«Eleison» – Per che cosa?
Il mormorio sommesso copre il passo,
brucia sotto cenere, confonde colpe, smorza meriti.
Pietà per quale colpa, a che dolore rendere giustizia?
S’impastano giudizio e fatto, si elidono, fingono coincidenza:
arresi alla menzogna lieve delle cose,
del qui e ora fuori dal qui e ora.
La terra delle ossa senza tendini, dei corpi sfarinati è adesso,
adesso e in ogni luogo.
Passa in un’epoca l’acciaio della notte, il fremito dei corpi senza nome.
***
Lascaux, 2
La notte, poi, veniva a visitarlo il dio
e fuoco e vampa e cerchi nella terra. Si chiedeva
a quale sesso, si chiedeva –
senza chiedere, nel tempo aperto, al soglio della caccia.
«Cielo e terra, cielo sulla terra e sotto terra» urlava
e dalla grotta un pianto né di bestia né di donna
ne contava i segni.
Soltanto nella danza. Il fuoco preso e reso,
il fuoco acceso al legno, i sassi a schermo, e maschi
e femmine legati e sciolti, in danza,
in successione: mani e cosce, mani e mani, grida e mani
al dio, alla notte e al giorno, al tempo sempre uguale
e sempre nuovo.
_________________Nella danza.
Aperto il cielo e il cuore, aperto il petto del nemico, il cranio,
inoculata la polpa del cervello, l’anima, la forza.
Così pensava, o credeva di pensare e pensavano per lui
la carne e il sangue, l’ira e i tremiti di noia.
Non senza chiedersi, non senza chiedersi senza saperlo chiedere
che cosa fossero quei suoni quelle rocce in gola tra un vagito e un altro,
com’è che avessero una voce, un – come dirlo – un senso.
***
Lascaux, 6
Vedemmo allora il male ed era grave e spesso
mentre il mattino apriva (non più pioggia,
infine, non più pioggia).
***
Da Di odore e di generazione
***
Limes
Qui sassi ed erba si confondono,
non sembrano conoscere la fisica
(s’alzano i sassi in aria, l’erba cade),
non sembrano conoscere lo zenith, l’equilibrio,
il punto fermo della ruota.
Ai posti di controllo sfilano carriere, destini quotidiani
– testa o croce, strada o penitenza –
sfilano carriere e inciampi, il giudice di un giorno
e l’imputato eterno.
____________________Ascolta:
non c’è che un luogo e un tempo e non è questo.
Ascolta il passo zoppo del pavone
che non ricorda dov’è il regno
(sì, ch’è tuo il regno, tua la gloria e la potenza)
su che confine issare l’ala a mostra di bandiera,
che non ricorda più né il giorno – l’ora,
né la schiera.
***
In anarchia, 1
Follow the money, dicono, tutti lo dicono –
se non lo dicono lo pensano, ne vivono e ne muoiono.
Nel cono d’oro s’alzano palazzi,
si stagliano infittiti – fitti i muri,
fitti gli abitanti –
e già nel ’07 (nel Novecentosette)
100 lire a uno scrivano
«licenziabile qualora il suo servizio si consideri esaurito»
ma al custode 900 vitto e alloggio
al direttore 10000 e premi
«in misura non minore di lire 2000 annue».
Follow the money,
se la mira costruisce sulla mira, agglutina, coscrive,
a ognuno fa la sua promessa
(è forse usura?
Lussuria, forse – o cosa?)
follow the money
adesso e sempre, e vedi a chi interessa cosa,
adesso e sempre,
dove ruguma il pastore il bene che non paga,
dove mostra il conto il male, il male che dilaga.
***
In anarchia, 3
Il ragazzino scrive al presidente:
«Caro presidente, puoi far costare meno il farmaco che mi fa stare male? L’ospedale non è brutto, ma è più bella casa mia».
Risponde il presidente:
________________________«Caro…
oh, non so il tuo nome,
li riempirà l’ufficio stampa i buchi,
i tarli di quest’anima che non è un’anima,
è un brandello di schifo strappato e avvizzito
(se mai ci fu un fiore).
Dicevo, caro,
_____________che auspico e farò
tutto il possibile
_________________perché questa vicenda
a modo suo incresciosa
trovi la migliore soluzione».
(Forse si potrebbe ipotizzare
qualche stanziamento,
o un’orgia di luddismo
che distrugga non le macchine
ma i conti, i dividendi,
le menti scure dei padroni).
***
Nord, 9
Questa morte che volteggia e picchia e morsica
la carne, questa morte senza eredi,
in fondo nostra – chi s’incenera, chi resta.
La mente annichilita si ribella,
oscilla in una bava di vendetta
e chiede sangue al dio del focolare,
all’ordine illusorio che si guasta.
Questa morte: chi s’incenera, chi resta,
chi è fermo in intenzione –
questa morte senza odore,
senza generazione.
(© Daniele Gigli, 2008-2022 – Condivisione autorizzata a fini non commerciali citando la fonte)