1.Scrittura in versi

Poesia? No, non le mie cose, non in questo secolo di decomposizione che del poiein ha scordato ogni eco. Scrittura in versi, piuttosto.
Qui sotto qualche stralcio da Fuoco unanime (2015, 2016) e dal più recente Di odore e di generazione (2019).

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Da Fuoco unanime

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Cade, s’inabissa l’occidente

Cade, s’inabissa l’occidente,
si dissolve, muore sotto i cieli alti di pietra-luce in ore cave.
Sull’acqua-marmo allucinano gli occhi,
senza punto si moltiplica lo sguardo,
cede l’orizzonte senza tempo.

Così si muore:
assassinati in preghiera o nei palazzi a vetro, dagli amici.
Figliano giudizi, rivoluzioni inerti,
nel fuoco bruciano bandiere, cadono le croci.

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Transpadana

Le rocce, il fiume a schianto sulle rive, il temporale squarcia l’aria ferma.
Restiamo qui, chi in questo luogo teso, chi lontano,
a specchio in questo cruore selva,
brani di memoria avversi al vuoto.

Tu dove sei, mi chiedo, dove in questa luce incerta:
ancora qui, ancora nel mio cuore o fuori, inanimata, persa?

Di questa luce prega, prega che ne resti:
sui campi stesi a volo di rotaia, i bracci del torrente, il greto,
il margine di riva e di risaia.

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Fuoco unanime, 2

A mezzogiorno
nell’apice della rivoluzione,
quando per troppo ardore oscura il fuoco bianco.
O al volgere dell’anno,
a mezzanotte,
quando la rara luce agghiaccia e flette sulla neve, dà chiarore,
strappa dal muro d’ombra i margini dei monti.

Vuoto delle parole che si svuotano, s’incancreniscono, edificano in sé la propria tomba.
Fuori dal tempo e dalle cose piegano l’idea,
l’asservono, assise al desco degli inerti, dei vomitati dalla bocca.

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Fuoco unanime, 3

«Kyrie» brulica la torma delle voci
calcate l’una all’altra, in movimento.
«Kyrie» invoca il coro univoco e discorde,
straziato a un fuoco mai attizzato,
senza remissione.

«Eleison» – Per che cosa?
Il mormorio sommesso copre il passo,
brucia sotto cenere, confonde colpe, smorza meriti.
Pietà per quale colpa, a che dolore rendere giustizia?
S’impastano giudizio e fatto, si elidono, fingono coincidenza:
arresi alla menzogna lieve delle cose,
del qui e ora fuori dal qui e ora.

La terra delle ossa senza tendini, dei corpi sfarinati è adesso,
adesso e in ogni luogo.
Passa in un’epoca l’acciaio della notte, il fremito dei corpi senza nome.

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Lascaux, 2

La notte, poi, veniva a visitarlo il dio
e fuoco e vampa e cerchi nella terra. Si chiedeva
a quale sesso, si chiedeva –
senza chiedere, nel tempo aperto, al soglio della caccia.
«Cielo e terra, cielo sulla terra e sotto terra» urlava
e dalla grotta un pianto né di bestia né di donna
ne contava i segni.

Soltanto nella danza. Il fuoco preso e reso,
il fuoco acceso al legno, i sassi a schermo, e maschi
e femmine legati e sciolti, in danza,
in successione: mani e cosce, mani e mani, grida e mani
al dio, alla notte e al giorno, al tempo sempre uguale
e sempre nuovo.
_________________Nella danza.
Aperto il cielo e il cuore, aperto il petto del nemico, il cranio,
inoculata la polpa del cervello, l’anima, la forza.

Così pensava, o credeva di pensare e pensavano per lui
la carne e il sangue, l’ira e i tremiti di noia.
Non senza chiedersi, non senza chiedersi senza saperlo chiedere
che cosa fossero quei suoni quelle rocce in gola tra un vagito e un altro,
com’è che avessero una voce, un – come dirlo – un senso.

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Lascaux, 6

Vedemmo allora il male ed era grave e spesso
mentre il mattino apriva (non più pioggia,
infine, non più pioggia).

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Da Di odore e di generazione

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Limes

Qui sassi ed erba si confondono,
non sembrano conoscere la fisica
(s’alzano i sassi in aria, l’erba cade),
non sembrano conoscere lo zenith, l’equilibrio,
il punto fermo della ruota.
Ai posti di controllo sfilano carriere, destini quotidiani
– testa o croce, strada o penitenza –
sfilano carriere e inciampi, il giudice di un giorno
e l’imputato eterno.
____________________Ascolta:
non c’è che un luogo e un tempo e non è questo.
Ascolta il passo zoppo del pavone
che non ricorda dov’è il regno
(sì, ch’è tuo il regno, tua la gloria e la potenza)
su che confine issare l’ala a mostra di bandiera,
che non ricorda più né il giorno – l’ora,
né la schiera.

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In anarchia, 1

Follow the money, dicono, tutti lo dicono –
se non lo dicono lo pensano, ne vivono e ne muoiono.
Nel cono d’oro s’alzano palazzi,
si stagliano infittiti – fitti i muri,
fitti gli abitanti –
e già nel ’07 (nel Novecentosette)
100 lire a uno scrivano
«licenziabile qualora il suo servizio si consideri esaurito»
ma al custode 900 vitto e alloggio
al direttore 10000 e premi
«in misura non minore di lire 2000 annue».

Follow the money,
se la mira costruisce sulla mira, agglutina, coscrive,
a ognuno fa la sua promessa
(è forse usura?
Lussuria, forse – o cosa?)
follow the money
adesso e sempre, e vedi a chi interessa cosa,
adesso e sempre,
dove ruguma il pastore il bene che non paga,
dove mostra il conto il male, il male che dilaga.

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In anarchia, 3

Il ragazzino scrive al presidente:
«Caro presidente, puoi far costare meno il farmaco che mi fa stare male? L’ospedale non è brutto, ma è più bella casa mia».

Risponde il presidente:
________________________«Caro…
oh, non so il tuo nome,
li riempirà l’ufficio stampa i buchi,
i tarli di quest’anima che non è un’anima,
è un brandello di schifo strappato e avvizzito
(se mai ci fu un fiore).
Dicevo, caro,
_____________che auspico e farò
tutto il possibile
_________________perché questa vicenda
a modo suo incresciosa
trovi la migliore soluzione».

(Forse si potrebbe ipotizzare
qualche stanziamento,
o un’orgia di luddismo
che distrugga non le macchine
ma i conti, i dividendi,
le menti scure dei padroni).

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Nord, 9

Questa morte che volteggia e picchia e morsica
la carne, questa morte senza eredi,
in fondo nostra – chi s’incenera, chi resta.
La mente annichilita si ribella,
oscilla in una bava di vendetta
e chiede sangue al dio del focolare,
all’ordine illusorio che si guasta.

Questa morte: chi s’incenera, chi resta,
chi è fermo in intenzione –
questa morte senza odore,
senza generazione.

(© Daniele Gigli, 2008-2022 – Condivisione autorizzata a fini non commerciali citando la fonte)